La fine degli anni '60 sono alla Pininfarina un momento di grande verve creativa. L'anno precedente sono nate la Ferrari P5 (ispiratrice dell'Alfa 33.2), l'avveniristica Ferrari P6, la monoposto Sigma Grand Prix e l'Alfa P33 Roadster.
Con particolare riguardo alla produzione di prototipi Ferrari, le idee sono in continua evoluzione sul piano del design e dell'aerodinamica e si stanno per lanciare progetti che influenzeranno in modo significativo tutta la produzione di Maranello degli anni seguenti.
Proprio nel '69, sulla scia di questo intenso momento creativo, prende forma un prototipo da molti considerato come uno dei più interessanti di sempre dal punto di vista stilistico e, a ben guardare con gli occhi di oggi, estremamente attuale nei concetti formali.
La storia di questa ardita berlinetta inizia nel 1968 prendendo le mosse da un'altra rossa: la barchetta 312P (3 litri, 12 cilindri "P" prototipo) con numero di telaio 0868. Quest'auto, presentata all'hotel "Real Fini" di Modena dal Commendatore in persona iniziò la stagione di corse 1969 con l'obbiettivo di partecipare a tre competizioni che avrebbero costituito un banco prova specifico per la "24 Ore di Le Mans" di giugno.
In aprile Mario Andretti e Chris Amon si schierarono alla 12 Ore di Sebring conquistando uno straordinario secondo posto assoluto e la prima posizione di classe. Una settimana più tardi, a Brands Hatch in Inghilterra ancora Chris Amon e Pedro Rodriguez agguantarono il quarto posto assoluto e quattordici giorni dopo, Rodriguez e Peter Schetty erano nuovamente pronti al via della Mille Chilometri di Monza.
Dopo un avvio di gara promettente Rodriguez finì fuori pista riportando alcuni danni alla vettura: riuscì tuttavia a riguadagnare la corsia dei box dove i meccanici Ferrari, con la consueta fretta e furia, riuscirono a raffazzonare la barchetta 0868. Il brasiliano riprese la corsa, ma poco dopo, lungo il rettilineo dei box, subì il distacco della parte posteriore della carrozzeria: questa fu sbalzata dal resto della vettura provocando una nuova uscita di pista, questa volta con conseguenze serie. Fortunatamente, Rodriguez uscì illeso.
Riportata in fabbrica con il posteriore seriamente danneggiato, fu deciso di non procedere a una nuova riparazione e fu smantellata. Il telaio fu utilizzato nelle fasi preparatorie di allestimento della Ferrari 512 S che sarebbe stata presentata nel 1970.
Il posteriore fu dunque ricostruito con le fattezze della nuova 512 e integrato con il "finto" motore V12 di 4,9 litri di una 612 Can Am (infine, una nuova numerazione: 002). Due mesi dopo, esauriti i suoi servigi per il reparto progettazione, questa specie di vettura ibrida, una sorta di 312/512, fu ceduta alla Pininfarina.
Il carrozziere torinese affidò a Filippo Sapino il compito di elaborare il design per una possente concept da esporre al Salone di Torino del mese di ottobre. Traendo forse ispirazione dalle Porsche 917 (presentata il marzo precedente al Salone di Ginevra), dalle Lola T70, dalle Ford GT40 nacque una grandiosa vettura, battezzata 512 S Speciale Pininfarina verniciata in un vistoso colore giallo.
Larghissima e bassissima, la futuribile versione stradale della 512S da corsa anticipava i tipici stilemi del design che dominò gli anni '70 e che volevano il trionfo di linee affilate, tese all'inverosimile e abbondanza di spigoli.
La sua configurazione di base, barchetta biposto con motore centrale, veniva astutamente resa coupé con l'elaborazione di un ingegnoso sistema per l'accesso all'abitacolo: parabrezza, tetto e parte delle fiancate venivano a costituire un unico grande elemento che incernierato poco sotto il vetro principale (quasi piatto!) si sollevava per consentire l'accesso ai posti di comando.
Grande fu il suo apprezzamento da parte del pubblico. La sua immagine possente e le sue forme aerodinamiche avrebbero di lì a poco fornito abbondanti suggerimenti per la definizione del design della 365 GT/BB (presentata nel '71) e della 308 GTB del '75.
Fonte: Story by OmniAuto.it
Image Credit: Pininfarina