In tema di automotive design si è sempre dibattuto molto sul cosa sia e su come dovrebbe essere un’auto funzionale. Una berlina? Un minivan? Un fuoristrada? E poi, su quale dovrebbe essere il compromesso giusto tra estetica e funzionalità? Un'auto non è solo un mezzo di trasporto, nel suo secolo e passa di vita è diventata anche uno strumento di lavoro.
Nel 1982 Giorgetto Giugiaro iniziò a lavorare al progetto Italdesign Capsula che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto cambiare per sempre il processo di produzione di veicoli costosi e speciali. L'obiettivo principale del progettista era quello di creare un telaio che potesse essere adattato per una notevole varietà di usi: taxi, ambulanza, scuolabus, auto della polizia ed altro ancora.
La Capsula era stata pensata attorno a un concetto innovativo: quello della piattaforma che comprendeva motore, albero motore, serbatoio, ruota di scorta, bagagliaio, servofreno, riscaldamento e gruppi ottici.
Il telaio era ispirato agli autobus e ai piccoli veicoli industriali, ed era completamente attrezzato e autosufficiente. Il corpo invece, era una capsula applicata al telaio in modo rapido e semplice e poteva essere sostituita in ogni momento trasformandola in un veicolo commerciale, in un'ambulanza o in un veicolo di soccorso.
L’auto sarebbe stata costruita in modo tale che chiunque avrebbe potuto modificarla, rimuovere il tetto e le sezioni anteriore, laterale e posteriore del corpo cambiando l'auto in base alle proprie esigenze. Queste erano le caratteristiche uniche ed esclusive del progetto Capsula.
Il problema fu che come molti di questi progetti, la Capsula sarebbe appartenuta alla categoria delle auto non proprio economiche. Degli studi fatti all'epoca stabilirono che il prezzo della Capsula sarebbe stato come quello di una berlina di gamma alta, quindi non proprio alla portata di tutti.
Guardandola più da vicino, le forme squadrate e l’ampia vetratura regalavano alla Capsula un aspetto da monovolume compatta. Il suo abitacolo, secondo la Italdesign, aveva dimensioni superiori rispetto alla coeva Mercedes 380 SE, nonostante la lunghezza esterna fosse solo di 3,72 metri, una prova che se lo sfruttamento degli spazi veniva curato in maniera ottimale si potevano avere risultati inimmaginabili.
L’azienda torinese riuscì in questo obiettivo alzando la linea dei vetri, scegliendo portiere incernierate al tetto e rinunciando al baule tradizionale in favore di un vano bagagli simile a quello degli autobus: valigie ed altri oggetti trovavano posto sotto il pavimento, fra le ruote anteriori e posteriori, all’interno di quattro fessure (due per lato) che non rubavano spazio all’interno.
Sebbene le superfici piane e lisce prevalessero per tutto il suo design, era curioso notare che sulla parte superiore del cofano fosse presente un contorno del motore disegnato in rilievo. Il telaio era stato verniciato in grigio con l'intenzione di segnare un netto contrasto con il corpo.
Il prototipo presentato al Salone di Torino aveva una cabina in vetroresina e resina epossidica con cinque posti, risultando una sorta di monovolume (sebbene questo concetto di auto fosse ancora lontano, la Espace nascerà solo nel 1984). L'elevata struttura della Capsula le conferiva un aspetto insolito, essendo brutta e affascinante in egual misura.
Sebbene avesse lasciato tutti impressionati, nessun produttore fece i passi necessari per trasformare questo prototipo in realtà. Non perché fosse impossibile portarla in produzione o la sua proposta non fosse attraente, ma, probabilmente perché era molto innovativa. Forse troppo.
Testo: ArchivioPrototipi
Image Source: Italdesign Giugiaro