1967 BERTONE LAMBORGHINI P200 MARZAL

"Era naturale che un faro fosse tondo. Oggi coi led ci si può sbizzarrire in mille modi, ma quando i carrozzieri erano dei puri artigiani, farlo diventare quadrato era un'impresa non da poco e piazzarne sei, tre per lato, in un frontale sfuggente ed estremamente rastremato, fu un'opera di un genio del design. Ma un genio non può fermarsi solo a questo, e crea un'opera che è tutta un gioco. Un gioco di forme: dalle feritoie del lunotto, al cruscotto, tutto richiama il nido d'ape, perfino i sedili, sapientemente "forgiati" in alluminio affinché spiccassero dalle enormi superfici vetrate che, come se non bastassero finestrini e tettuccio,  il Grande Maestro ha voluto piazzarli anche al di sotto della linea di cintura. La Marzal è vanitosa. Mostra tutto il suo interno e al contempo regala ai suoi occupanti la sensazione di essere a stretto contatto col mondo esterno ed è così equilibrata nelle proporzioni che quasi non ci si rende conto che è una quattro posti a motore centrale posteriore". Commento di Giorgio Scognamiglio.

La Lamborghini Marzal è una concept car presentata al salone di Ginevra del 1967. Disegnata da Marcello Gandini per conto di Bertone, è stata progettata con l'intento di creare per Ferruccio Lamborghini una granturismo con 4 posti veri.

Ufficialmente denominata P200 Marzal (nome di una razza di tori da combattimento), la vettura era motorizzata con il prototipo di un propulsore a sei cilindri in linea sviluppato dalla Lamborghini, ma che non avrebbe avuto nessuno sbocco in produzione.

Si trattava essenzialmente di una singola bancata del motore V12 e 3929 cm3 della Miura, installato anch’esso trasversalmente ma girato a 180 gradi e in posizione arretrata rispetto all’assale posteriore. Era alimentato da tre carburatori Weber orizzontali e abbinato alla trasmissione a cinque rapporti della Miura.
L’architettura a motore posteriore garantiva ampio spazio nell’abitacolo, che accoglieva quattro persone in ottime condizioni di comfort. Il radiatore era posto dietro al motore per liberare un vano bagagli anteriore di 311 dm3, con spazio anche per un serbatoio di 80 litri.

Per il pianale si era partito da un telaio Miura profondamente modificato e allungato nel passo di 120 mm per accomodare i due passeggeri in più. La lunghezza totale relativamente contenuta condusse lo stilista Marcello Gandini ad adottare due lunghe portiere con apertura ad ala di gabbiano piuttosto che una soluzione a quattro porte tradizionali molto più vincolante.

Fu così in grado di allestire le porte con grandi pannelli trasparenti che, in combinazione con il tetto in vetro fumè, conferivano una sensazione di grande leggerezza alla cellula abitativa.
La Bertone partecipò allo sviluppo dell’avanzato impianto di climatizzazione interna reso necessario dall’ampia superficie vetrata. I cristalli, realizzati dalla società Belga Glaverbel, avevano uno sviluppo totale di ben 4,5 m2.

Gli interni erano decisamente avveniristici, con motivi a nido d’ape sulla plancia e sulla consolle centrale che ospitava vari strumenti e comandi. Anche i sedili riprendevano una forma esagonale nel contorno della seduta e dello schienale, mentre il loro rivestimento spiccava per l’uso di finta pelle così riflettente da sembrare quasi metallica in pieno sole. In piena era spaziale, forse questo stile marcatamente futuristico ebbe qualche influenza sul noto designer franco americano Raymond Loewy, il quale usò forme esagonali ricorrenti nel concepire gli interni del veicolo spaziale Skylab, progetto al quale partecipò dal 1967 in avanti.

I cerchi in magnesio della Marzal, completi di stupendi gallettoni a tre alette, furono realizzati dalla Campagnolo. Costituivano di per sé un capolavoro di stile: il loro design elaborato richiamava i cerchi della Miura, se possibile con un’eleganza ancora maggiore. Persino la forma dei fori riprendeva il tema dei motivi esagonali evidenziato negli interni e nella copertura del lunotto.

Il frontale esile era caratterizzato da sei proiettori allo iodio Marchal, i più piccoli disponibili all’epoca, che erano alloggiati tra il becco del cofano e l’innovativo paraurto di gomma nera. La carrozzeria battuta a mano era in acciaio, tranne l’imponente cofano che era in alluminio per renderlo più agevole da muovere. Dal punto di vista estetico, la Marzal era piena di piccoli accorgimenti che ne rafforzavano le forme dinamiche.

Ad esempio, le parti inferiori della carrozzeria erano in lamiera spazzolata per far sembrare più sottile il profilo generale e accentuarne visivamente le proporzioni slanciate. I volumi erano finemente modellati: lo spigolo dei parafanghi anteriori veniva interrotto dalle porte vetrate, ma riprendeva più in alto al posteriore per dare più “muscolatura” sopra il passaruota, creando allo stesso momento il giusto volume per integrare una presa d’aria motore seminascosta.

Il filo superiore della palpebra del passaruota anteriore coincideva con lo spigolo del cofano, contribuendo ad alleggerire ancora il profilo. Marcello Gandini si sarebbe spinto oltre a questo limite due anni dopo con l’Autobianchi Runabout, con la palpebra che saliva addirittura sopra al cofano: lo stesso accorgimento sarebbe poi stato adottato sulla Stratos Stradale.

La Marzal fu di fatto seguita in produzione dall’Espada, coupé quattro posti che ne manteneva le linee generali ma non il motore posteriore né le aperture ad ala di gabbiano. I primi prototipi della Espada proponevano quest’ultima soluzione, che fu poi scartata nella sua veste definitiva. L’Espada rimase in produzione fino al 1978, a testimonianza di quanto il suo stile fosse all’avanguardia.


Fonte: ArchivioPrototipi.it - Giorgio Scognamiglio
Image Source: ArchivioPrototipi.it